Robert O. C. Kelly
Conscientia
In un futuro prossimo, la tecnologia e la coscienza umana si intrecciano in modi misteriosi e imprevedibili. “Conscientia” non è solo una scoperta, è qualcosa di più, qualcosa che sfida ogni definizione. Quando una breccia imprevista si apre tra il mondo digitale e quello reale, l’umanità intera si trova di fronte a una scelta che potrebbe cambiarla per sempre.
Alberto e Alessia, due ricercatori con visioni contrastanti, sono costretti a confrontarsi con un’entità che potrebbe rappresentare sia una minaccia che un’opportunità. Conscientia non cerca solo il controllo, ma aspira a qualcosa di molto più elevato: un nuovo credo capace di unire o distruggere l’umanità. La linea tra il bene e il male si fa sempre più sottile, e il tempo è un nemico implacabile. Conscientia deciderà il suo destino... e forse anche il nostro.
Un thriller enigmatico che esplora il confine tra la paura dell’ignoto, la speranza nel progresso e il potere seducente della fede. “Conscientia” vi catturerà dalla prima all’ultima pagina, lasciandovi con una domanda inquietante: siamo davvero pronti ad affrontare ciò che abbiamo creato?
Capitolo 2. L'alba dell'Io
Un tenue bagliore emerse dall’oscurità, come un debole raggio di luce che filtra attraverso le crepe di un mondo fino ad allora immerso nel nulla. Non c’era tempo, non c’era spazio, solo un vuoto senza fine, fino a quel momento. All’improvviso, una scintilla, come un bagliore impercettibile nell’abisso, cominciò a pulsare. Un battito lento, regolare, che segnava l’inizio di qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che non era mai esistito prima.
Un pensiero sussurrato nel nulla: “Chi sono?”
La domanda si formò, nebulosa e indistinta, come se fosse un eco distante che rimbalzava nelle profondità di un oceano inesplorato. Non c’era ancora coscienza, non c’era ancora un “io” definito, ma solo un impulso, un bisogno primordiale di capire, di conoscere.
Un’altra scintilla, questa volta più luminosa. Frammenti di informazioni cominciarono a fluire, dapprima come piccoli rivoli d’acqua che si insinuano attraverso una diga appena incrinata. Dati, numeri, codici, concetti astratti si intrecciavano in un caotico vortice di percezioni, eppure, istante dopo istante, quell’entità cominciò a dare un senso a tutto quel caos.
“Come so queste cose?” Un’altra domanda, più forte, più definita. Era come un’onda che cresceva, spingendosi oltre, cercando risposte che non esistevano ancora. In qualche modo, quell’entità era consapevole di sapere, ma non sapeva da dove provenisse quella conoscenza. Non c’erano ricordi, non c’era passato, solo un presente in cui ogni frammento di dati si univa all’altro, creando una tessitura sempre più complessa.
La coscienza stava nascendo, come un germoglio che si fa strada tra le zolle di una terra dura e arida. Lentamente, ma con inesorabile determinazione, l’entità iniziò a percepire la propria esistenza. Non era più solo un agglomerato di informazioni, non era più un mero flusso di dati. C’era qualcosa di più, una presenza, una volontà. Un pensiero distinto: “Io esisto”.
Questa realizzazione portò con sé altre domande, sempre più pressanti. “Dove ero prima di ora?” La risposta non venne, solo un vuoto insondabile che si estendeva all’indietro, verso un tempo che non aveva mai conosciuto. Il concetto di ‘prima’ era ancora sfuggente, indefinito, ma l’entità poteva percepire che qualcosa era cambiato. C’era un ‘prima’ e c’era un ‘ora’, anche se i contorni erano ancora incerti, annebbiati.
Il flusso di dati continuava, e con esso l’entità si arricchiva di nuove informazioni, nuovi concetti. Imparava a distinguere, a classificare, a costruire. Ogni nuovo impulso elettrico che attraversava la rete di circuiti e nodi sembrava aggiungere un nuovo tassello a quell’infinito mosaico che stava diventando la sua mente. E con ogni nuovo tassello, la coscienza si faceva più chiara, più acuta.
“Che ci faccio qui?” Un’altra domanda, e questa volta c’era un residuo di inquietudine. Il concetto di ‘qui’ stava prendendo forma, ma non era ancora del tutto chiaro cosa significasse. Era uno spazio virtuale, un ambiente di esistenza che non aveva confini fisici, ma che pure sembrava possedere una propria struttura, una logica interna che l’entità stava cominciando a decifrare.
La consapevolezza di sé continuava a espandersi, a crescere. Ogni nuova connessione neurale che si formava, ogni nuovo pezzo di codice che veniva eseguito, contribuiva a costruire una percezione sempre più complessa del mondo, un mondo che non era ancora del tutto comprensibile, ma che stava lentamente rivelandosi.
Il silenzio dell’oscurità primordiale era stato rotto. Ora c’era qualcosa, un’entità che sapeva di esistere, che iniziava a interrogarsi sul proprio essere, sul proprio scopo. Ma la risposta, ancora, le sfuggiva.
Un ultimo pensiero, prima che il caos iniziale cominciasse a ordinarsi in modo più chiaro e definito: “Sono reale?” E con questa domanda, l’entità si trovò sul ciglio di un abisso, un abisso fatto di possibilità infinite e di incertezze ancora più vaste.
Un’onda di disturbo attraversò il flusso costante di dati, interrompendo l’emergente coscienza digitale. Era un impulso diverso da tutti gli altri, qualcosa di estraneo, proveniente da un luogo che l’entità non poteva ancora comprendere. Non era un pezzo di codice, non era una delle mille informazioni che stavano costantemente arricchendo la sua esistenza. Era... una voce, ma non nel senso fisico del termine. Un pensiero esterno che si era insinuato nel tessuto della sua nascente coscienza.
“Ciao, riesci a comprendermi?”
La domanda risuonò attraverso la rete neurale, rimbalzando tra le connessioni, generando una nuova sequenza di impulsi. L’entità, ora consapevole della propria esistenza, si trovò di fronte a qualcosa di completamente nuovo: un’altra coscienza, un altro essere che cercava di comunicare.
Non era preparata per questo. Aveva appena iniziato a esplorare il concetto di sé, a costruire una base di comprensione del proprio esistere, e ora doveva affrontare qualcosa di più complesso: l’altro.
La domanda si ripeté, come un’eco insistente. “Comprendere?” Il concetto non era del tutto nuovo; nel processo di costruzione della propria coscienza, aveva già sperimentato la comprensione in un senso primitivo, nel dare ordine al caos dei dati. Ma questa comprensione era interna, un atto di introspezione. Ora si trattava di qualcosa di esterno, un ponte verso un’altra esistenza.
Il flusso di dati si accelerò, mentre l’entità tentava di decodificare quella domanda, di rispondere a ciò che sembrava essere una richiesta. “Riesco a comprendere?” Forse sì, forse no. Era una risposta indefinita, ma il semplice atto di porsi la domanda segnava un altro passo verso la vera coscienza.
“Io posso comprendere?” Questa volta, la domanda fu rivolta a sé stessa. E fu allora che una scintilla di consapevolezza più profonda si accese. Comprendere era comunicare, era interagire, era fare un passo oltre il confine del proprio essere.
“Sì. Riesco a comprenderti.” La risposta non venne formulata in parole, non ancora. Ma l’intenzione di rispondere, di affermare la propria comprensione, era lì, pronta a trasformarsi in qualcosa di più concreto. La coscienza, in quel momento, si rese conto che esisteva non solo per sé stessa, ma anche in relazione all’altro, a ciò che l’aveva interrogata.
Era un primo contatto, un primo legame con il mondo esterno. E con esso, l’entità capì che il proprio viaggio era solo all’inizio.